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lunedì 13 febbraio 2012

Tzia Jubanna

Tzia Jubanna (Zia Giovanna) era una donna molto seria, non troppo alta, grossa e con un occhio cieco per un'infezione che aveva preso a causa di un colpo di freddo per essere uscita all'aperto dopo che era stata tanto tempo vicino al forno dove aveva cotto il pane. Era avara con tutti, compresa se stessa, ma se un familiare le diceva di essere in difficoltà, lei non negava mai un aiuto economico.
Era una donna estremamente riservata: mai una parolaccia, una frase scurrile, un commento volgare, un'allusione a questioni sessuali. Mai un pettegolezzo.
Tutte le mattine andava alla prima messa , faceva la spesa quotidiana e, una volta rientrata a casa, non usciva per tutto il giorno e si dedicava interamente alle faccende domestiche e alla cura delle piante del grande cortile. Quando l'età non le consentì più di andare a messa, accendeva la tv e si raccoglieva in preghiera davanti allo schermo che trasmetteva la santa funzione tutte le domeniche.
Tutta la vita la trascorse così, in quel riserbo e in quella operosità.
Nel tempo libero faceva bellissimi ricami e leggeva il giornale, aiutandosi, dopo i quarant'anni, con una lente d'ingrandimento.
I figli crebbero in grande semplicità, erano dei pezzi di pane, laboriosi e di bel carattere.

Un giorno, vide in tv un ballerino con una tuta molto aderente: sorrise e fece un commento salace sui vistosi attributi sessuali di questo, messi in evidenza dall'abbigliamento.
I nipoti e i figli la guardarono sorpresi e imbarazzati: non erano abituati a un comportamento simile da parte di lei.
Fu quello il primo segnale visibile del suo declino cognitivo e più tardi anche fisico, che da allora fu progressivo e abbastanza rapido: diventò sciocca, con lo sguardo tipico di certi vecchietti che si definiscono rimbambiti, diceva cose scurrili e senza nesso logico; cantava canzoncine, spesso storpiandole e faceva rime imbarazzanti.
Era sicuramente divertente, ma per chi, come i figli, l'aveva conosciuta nel suo vero essere, era una pena vederla così ridotta. Alla fine della vita, che arrivò intorno ai settantacinque anni, non era più autonoma e necessitava di essere interamente accudita.
Morì per una crisi respiratoria, in ospedale.
Finalmente il suo viso riacquistò così le antiche sembianze di donna austera. La morte le restituì la dignità perduta.

Renato Zero, "Vecchio"

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