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sabato 10 marzo 2012

Sei morta.

Sei morta. Così, del tutto inaspettatamente, tu, donna di ferro, sei morta: in un soffio, la tua anima è schizzata fuori da quel corpo provato e appesantito. Non hai avuto il tempo di accorgerti di nulla, né di salutare quel figlio, ricoverato insieme a te, che tu hai distrutto per via del tuo amore malato, cambiandogli le terapie in continuazione, dandogli in continuazione messaggi ambigui, mettendolo contro se stesso e contro gli altri senza lasciarlo respirare un momento. Hai distrutto lui e fatto il lavaggio del cervello a schiere di medici; hai girato tutta la regione per salvare quel figlio che tu stessa massacravi, senza capire, senza volere; perché anche tu eri malata, gravemente malata. E così, quando abbiamo saputo, nonostante quello che ci hai fatto passare, ci è dispiaciuto; e qualcuno ha anche pianto: perché la vittima, alla fine, si affeziona al carnefice, e tutti siamo stati, come tuo figlio, le tue vittime, finché qualcuno è stato più forte di te e ti ha costretto al ricovero, facendo così il tuo bene: perché hai accettato, alla fine, che chi aveva più bisogno di accudimento eri proprio tu, e chi aveva più bisogno di coccole eri proprio tu; e chi aveva più bisogno degli altri eri proprio tu: e quando tutto era chiaro, la morte è arrivata e ti ha portato via.
Come per miracolo, tuo figlio, adesso, è felice.