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giovedì 16 aprile 2015

Paolo attende l'estate.

Paolo piange disperato. Piange sommessamente e senza farsi notare, seduto al tavolino della sua stanza, nell'angolo della finestra.
È ricoverato per l'ennesima volta. Forse il cambio di clima favorisce la riesplosione della malattia, oppure, più probabilmente, a casa non ha seguito bene la cura.
Paolo è un uomo sensibile ed emotivo, che si dispiace e si commuove anche se il compagno di stanza sta male.
Stavolta, però, piange per sé. Un pianto accorato che viene dal profondo dei visceri e gli scuote le spalle, che gli arrossa il viso e gli occhi e gli fa storcere la bocca verso il basso, in una contrazione incoercibile.
Piange perché in testa gli passano brutti pensieri, che gli suggeriscono di farla finita, anche se in maniera indistinta, senza un progetto preciso, perché farla finita è l'unico modo per spegnere l'angoscia mortale che gli attanaglia l'anima, il senso di vuoto e di nulla che lo ha già ucciso da molti anni, impedendogli di lavorare e fare una vita serena.
Il compagno di stanza se ne accorge e chiama la caposala, che informa il medico.
Non ci sono parole che tengano, colloquio che possa attenuare l'angoscia. Venti gocce lo aiuteranno, ma fino a quando?
Paolo, resisti; forse, quando arriverà l'estate, l'angoscia passerà.

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