Visualizzazioni totali

domenica 26 gennaio 2014

"Le storie di A" diventa ebook gratuito

"Le storie di A",  dalla fondazione alla fine del 2013, diventa ebook, in formato .pdf e in formato .epub , entrambi scaricabili gratuitamente tramite l'accesso ai rispettivi links.
Tutte le spiegazioni a questo fatto le trovate nell'introduzione; se l'idea vi piace, vi chiedo di fare beneficenza a chi volete voi. Io ho inserito dei links a me graditi, ma non sono vincolanti.
Vi ringrazio tanto.

Le storie di A - storie da un blog - formato .pdf - scaricabile gratuitamente; in cambio fate una donazione a qualche sito di utilità sociale, come la Fondazione Gocongo oppure Il Rifugio di Camilla oppure la Li Ri Gì life smiles 

Le storie di A - storie da un blog - formato .epub - scaricabile gratuitamente; in cambio fate una donazione a qualche sito di utilità sociale, come la Fondazione Gocongo oppure Il Rifugio di Camilla oppure la Li Ri Gì life smiles 


giovedì 16 gennaio 2014

"Non erano coccole..." (racconto breve)

Nel condominio tirava la solita aria: la signora delle pulizie era arrivata di buon’ora, come testimoniava l'odore penetrante di detergente alla lavanda.
Tra le sette e le otto e trenta c’era l'uscita di coloro  che si recavano al lavoro e, un paio d’ore dopo, delle casalinghe che si recavano a far la spesa o negli uffici.
Tutti andavano di fretta e, poiché nel condominio c’erano dei dissapori legati alle spese sostenute per la riparazione del tetto e il rifacimento della facciata,  era raro che le persone che si incontravano si fermassero a scambiare due chiacchiere.
Da alcuni giorni il prof. De Cerebellis, illustre primario di cardiochirurgia della famosa casa di cura Villa della Trippa, era andato a vivere in quel palazzo. Era un uomo austero, molto garbato e riservato, al punto da apparire superbo.
Durante il trasloco,  gli altri condomini osservavano dalle finestre,  cercando di non farsi vedere e, in breve tempo, conobbero vita, morte e miracoli del nuovo inquilino.
Più o meno nello stesso periodo,  arrivarono anche due cittadini dell’est europeo, che presero alloggio nel sottotetto,  una piccolissima, gelida e umida mansarda, uomini dai lineamenti duri e lo sguardo sfuggente.
Un mercoledì mattina di una giornata insulsa,  il condòmino signor Barbagiorgio, del quarto piano interno C, uscì d'impeto dal palazzo, urlando: "Che schifo! Che indecenza!" Fermò un altro condòmino, il signor Difretta,  e gli disse:" Ma  che indecenza! Che schifo! Ha visto! Qualcuno ha imbrattato i tasti dell'ascensore!"
"Imbrattato? Ascensore? " Strabuzzò gli occhi il signor Difretta.
"Sì!" incalzò Barbagiorgio: "Caccole! Caccole di naso appiccicate ai tasti dell'ascensore! Uno schifo!"
"Possibile?" il signor Difretta non credeva alle proprie orecchie. Barbagiorgio lo condusse all'ascensore prendendolo per il gomito.  "Ecco!" urlò, aprendo le portiere.  "Ecco! Guardi qui, che orrore!"
Difretta sporse la testa: piccole caccole verdi erano effettivamente appiccicate su alcuni tasti. "Possibile? " mormorò allibito. "Non era mai successo! Chi potrebbe essere?"
"Guarda caso ci sono degli inquilini  nuovi! Sarà qualcuno di loro!"
"Possibile?" ripeté Difretta. "Mah... Il professore De Cerebellis mi pare improbabile...ha un'aria così seria..."
"Saranno i due tizi dell'est! E poi... chi mi dice  che non possa essere il professore? Ieri l'ho visto uscire dall'ascensore con un fazzolettino in mano e si puliva le mani..." fece eco Barbagiorgio. Chiamò col cellulare l'amministratore che, informato della cosa, mandò subito la signora Cinzia a ripulire i tasti. "Oh mio Dio! " disse la signora, "che schifezza! Da far venire il voltastomaco! "
In breve tempo, tutto il palazzo venne a sapere della novità. Smorfie di disgusto si disegnarono sui visi. Qualcuno portò la mano alla bocca per reprimere un conato, altri avvicinarono al naso un fazzoletto di carta profumato al mentolo. Ognuno di loro cominciò a interrogarsi sul responsabile. Poi conclusero che poteva esser stato qualche bambino e non ci pensarono più.
Il venerdì successivo,  intorno alle 15,30, la signora Battichiodo, inquilina del secondo piano interno A, rientrò dopo una giornata molto faticosa. Infilò la chiave nella toppa del portoncino d'ingresso e aprì spingendo col piede. Quindi spinse la maniglia per richiudere… e avvertì qualcosa di attaccaticcio sotto le dita.
Guardare e cacciare un urlo acutissimo, fu tutt'uno: la maniglia era cosparsa di caccole!  Sentendo le urla, i condomini si affacciarono alla scala, convinti che fosse successo qualcosa di grave, ma, quando capirono il motivo, cominciarono ad avvertire una certa inquietudine.
Da quel momento ebbero paura a toccare qualunque cosa e osservavano con attenzione prima di poggiare la mano su maniglie e tasti, terrorizzati all'idea di toccare caccole collose. "E chi poi? Sicuramente gli slavi!" insinuò la signora Fritti del 4 piano interno B,  parlando al telefono con l'amica Gianuaria Scucitasca, di mestiere sarta. "Sì puoi stare certa", disse costei. "Questi stranieri sono tutti sporchi e maleducati. E però hanno anche la faccia di lamentarsi se le gambe dei pantaloni che mi fanno accorciare sono leggermente asimmetriche! Per uno - due centimetri fanno tante di quelle storie…”. “Ah sì!” proseguì la Fritti: “e poi per stare giorno e notte con un anziano pretendono anche la mezza giornata libera!”
Dopo una settimana, non essendosi la cosa più ripetuta, gli inquilini pensarono nuovamente alla monelleria di qualche bambino. Forse uno dei quattro figli della signora Sbatacchi, secondo piano interno B, molto scalmanati? Oppure il vecchietto indementito padre del signor Scassambrelli, quinto piano interno A?
No, quasi certamente i due extracomunitari, dal momento che prima del loro arrivo la cosa non succedeva. O possibile che fosse il professore? Lo si vedeva uscire spesso, con un fazzolettino in mano.
Il terzo mercoledì successivo al venerdì del secondo episodio,  toccò alla signora Ruttini, quinto piano interno C, trovare l'allegra sorpresa: infatti, le cassette delle lettere erano cosparse di caccole nasali, fin dentro la fessura. Ella quasi svenne, dopo l'urlo di rito. Ancora una volta i condomini si affacciarono alla scala; dopo di che si scatenò la caccia all'uomo.
Ognuno di loro si appostava dietro porte e finestre per cogliere il malfattore sul fatto. Qualcuno filmava tutto col cellulare mettendo in evidenza orario e data e segnalando che a tale ora era tutto pulito, mentre a talaltra le caccole erano distribuite lungo la ringhiera della scala,  o la porticina del vano elettricità o i tasti del citofono.
Da quel fatidico giorno in cui la signora Ruttini fu vittima, le caccole vennero rinvenute quasi quotidianamente. Le signore erano sul piede di guerra, pronte a intervenire con ombrelli e scope sulla schiena del serial killer,  se lo avessero scoperto.
Il signor Barbagiorgio,  però, covava un sospetto; e ben presto iniziò a diffonderlo, indicando come reo nientemeno che il professore De Cerebellis. Barbagiorgio si definiva sicuro del fatto suo, affermando di essersi appostato più volte e che scaricare le colpe sugli slavi era solo indice di razzismo. Per esempio,  avevano fatto caso, i gentili condòmini, che il martedì e il giovedì il cardiochirurgo, dovendo operare,  usciva di casa alle 7.45 per poi rientrare a tarda sera? In quei giorni, se si ripuliva dalle caccole alle 8.00 , non ricomparivano che dopo il rientro del professore!
Barbagiorgio dimostrò la cosa con fotografie aventi l'orario in sovraimpressione e le mostrò ai condomini che tempestarono di telefonate l'amministratore,  il quale si vide costretto a convocare il professore e fargli una lavata di testa, avvisandolo che, se i fatti si fossero ripetuti,  avrebbe preso dei provvedimenti legali; nel dire questo,  si chiedeva come un uomo apparentemente così distinto potesse avere una sì disgustosa abitudine e si guardò bene dallo stringergli la mano, temendo fosse impiastrata di caccole.
Il professore De Cerebellis,  sconvolto,  tentò debolmente di negare, ma almeno riuscì finalmente a spiegarsi perché i condòmini lo guardassero torvi e lo salutassero a malapena!
Tutto sembrava essere contro di lui: date e orari dello scaccolamento coincidevano con le sue abitudini di vita e c'era davvero da impazzire; le prove erano schiaccianti! Se lui non avesse saputo di non essere lo scaccolatore di palazzo Straficoni, sarebbe stato il primo a indicarsi come colpevole. Qualcuno, fu la sua conclusione, aveva deciso di incastrarlo e lui non ne capiva il motivo.
Aveva però avuto l'impressione di venire spiato; infatti, ogni volta che usciva o rientrava, le tendine di una certa finestra erano leggermente scostate e si intravedeva una figura. Inoltre, c'era una persona che spesso fingeva di armeggiare con la portiera dell' auto o sistemava le piante sul balcone in coincidenza dell'uscita di casa del professore.
Fu così che un martedì,  giorno di interventi chirurgici, nell' uscire alle 7.45, intuì da alcuni rumori che quel qualcuno origliava. Scese con l'ascensore,  trovandolo pulito (la signora Cinzia era passata alle sei), ma, anziché uscire dal palazzo, chiuse rumorosamente il portone, attivò la fotocamera del cellulare e, veloce e silenzioso, salì le scale.
Barbagiorgio fu sopreso dal flash della fotocamera mentre, con l'indice della mano sinistra infilato nel naso, imbrattava con l'altra mano lo specchio dell' ascensore!
Rimase talmente sorpreso che non aprì bocca nè mosse un muscolo: restò lì, inebetito, col dito nel naso, a guardare De Cerebellis che riponeva il cellulare in tasca, con aria severa e senza proferire parola.
La sera dopo, davanti all'amministratore e alla presenza dei signori Difretta, Ruttini, Scassambrelli padre (evidentemente meno indementito del previsto) e Battichiodo, il professore De Cerebellis mostrava la foto di Barbagiorgio in flagranza di reato. Questi, accasciato su una sedia, non parlava.
"...E adesso", gli chiese il professore,  “sarebbe così gentile da spiegarmi perché mi ha fatto questo, dato che nemmeno ci conosciamo e non ho mai avuto a che fare con lei? "
"Ah... Non ci conosciamo, vero!?" si rianimò Barbagiorgio.  "Lo dici tu che non ci conosciamo! "
Estrasse dalla tasca della giacca una foto, mostrandola a tutti i presenti: "E questi chi sono? Eh? CHI SONO! "
La foto ritraeva due bambini e una bambina col grembiulino dell'asilo.
"Guarda questa foto! Adesso mi riconosci? "
De Cerebellis prese la foto: "Ma questo sono io! E gli altri due chi sono? "
"Chi sono, vero? Fai finta di non riconoscermi! Io ti ho riconosciuto subito! Anche se son passati sessant'anni! E questa bambina non te la ricordi, eh? È Mariangela! Io ero innamorato di lei! E lei scelse te solo perché le regalasti quello stupido bracciale di conchiglie! Avevo giurato che te l'avrei fatta pagare! ..."

copyright Annalisa Soddu
13 gennaio 2014
all rights reserved - tutti i diritti riservati

lunedì 13 gennaio 2014

Il distributore

C'è un signore cocciuto che lavora in una piccola residenza di 20 pazienti: tutti vecchi schizofrenici senza più parenti stretti che si interessino a loro, ormai indementiti, incapaci di autonomia. Incapaci anche di leggere, seguire un programma televisivo, interessarsi alla vita, alla gente, incapaci di fare un discorso logico, incapaci di rispettare le regole. Dediti solo al fumo e al caffè, senza i quali diventano nervosi e irritabili.
Il signore cocciuto si adira, tenta di farli rigar dritto, si adira ancor di più con il personale del quale lui è responsabile: è caparbio e in più gli piace comandare, far vedere chi è il capo. Dà ordini a destra e a sinistra, maltratta verbalmente i suoi sottoposti e fa notare loro qualunque mancanza; non c'è mai nulla che gli vada bene, non dà mai la soddisfazione di dire a qualcuno: "Bravo, hai lavorato bene".
Il signore cocciuto ha la tasca sempre gonfia.
La tasca contiene un pacchetto di sigarette.
E' un pacchetto che non si esaurisce mai, sembra la borsa di Mary Poppins, dalla quale -ricordate?- usciva anche la lampada a lungo stelo.
Da quel pacchetto esce un fiume di sigarette. Ogni giorno, i venti pazienti si avvicendano innumerevoli volte; lui distribuisce le sigarette ponendo delle regole: "te la do adesso, ma per mezz'ora non te ne darò altre."
I pazienti si accontentano: afferrano la sigaretta fulmineamente e subito la portano alla bocca; in dieci tiri l'hanno finita e poi si riaffacciano alla tasca, ma lui garbatamente dice "No, te l'ho data poco fa, torna tra un po'." E questo accade tante volte, finchè, passata l'ora, lui elargisce un'altra sigaretta.
Quanto spende in sigarette il signore cocciuto? Almeno quanto un mutuo; sì, è lui che le compra, non i familiari o la proprietà della struttura.
Quelle sigarette sono il ringraziamento del signore cocciuto a quegli ammalati, che danno da vivere a lui e alla sua famiglia. Anche se lui ha un caratteraccio e non dà soddisfazione e anche se il resto del personale gli parla alle spalle lanciandogli improperi e maledizioni.
E anche se con quei soldi magari avrebbe potuto comprare una macchina più bella o regalare ai suoi figli vacanze migliori.
I soldi vanno in fumo, ma lui è felice così.