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martedì 17 dicembre 2013

Il segreto di Gianni.

Gianni ha 42 anni. È un omone massiccio e alto. Suo padre e sua madre si avvicinano agli ottanta e spesso hanno espresso la loro preoccupazione per quel figlio ammalato che, probabilmente,  si troverà presto solo. Sono molto angosciati per questo pensiero e spesso dicono che troveranno un modo per ucciderlo e uccidersi subito dopo. Hanno già chiesto a vari medici un farmaco utile allo scopo, ma non hanno avuto risposte. Gianni è ugualmente angosciato dalla paura di trovarsi solo al mondo e attraversa giorni bui nei quali piange ininterrottamente per questo motivo.
Oggi Gianni è sereno e radioso: i suoi genitori, infatti, gli hanno comunicato una notizia straordinaria, raccomandandogli di tenere il segreto per evitare che arrivi a orecchie indiscrete.  
Finalmente è stato scoperto il siero di lunga vita, che consentirà a tutta la famiglia e, in futuro -dati gli attuali costi eccessivi del siero- a tutti gli abitanti del pianeta, di vivere ancora qualche centinaio d'anni. In questo modo, nel frattempo, lui si sposerà e avrà dei figli con Susy, quindicenne canadese sua promessa sposa in attesa di diventare maggiorenne per poterlo incontrare (matrimonio combinato dai genitori e da uno zio di Gianni! ) e non sarà più solo anche quando i suoi, ormai vecchi come Noè, passeranno a miglior vita.
Adesso tutta la famiglia sorride ed è felice, i brutti pensieri si allontanano e la ricerca del medico disponibile alla dolce morte può proseguire con calma.


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sabato 14 dicembre 2013

Stefania

Stefania balbetta,
balbetta tanto da non poter parlare.
Stefania ha il fegato malato,
un virus glielo ha consumato.
Stefania ha anche un vizio:
beve e si ubriaca,
è tanto triste da invocare la morte.
Stefania aveva quindici anni,
l’ha mangiata un orco.

Lui ora non c’è più.

Le ha donato quel virus
e, quando il vino ha bevuto la sua vita,
avrebbe forse voluto chiederle perdono;
avrebbe forse voluto tornare indietro,
a quell’età in cui
la teneva tra le braccia,
le cantava la ninna nanna
e le rimboccava le coperte.

A. S.
(Pubblicata in "Interni", TraccePerLaMeta edizioni)

giovedì 12 dicembre 2013

Fuori tema, ma molto importante

Esula dai temi di questo blog, ma solo fino a un certo punto.
Segnalo questo link e ringrazio di cuore l'autore dell'articolo e l'associazione culturale TraccePerLaMeta per la straordinaria iniziativa:
Il canto dei poeti per la Sardegna, di Luciano Piras

martedì 10 dicembre 2013

Alla faccia del DSM

- Buonasera Carlo, come sta?
- Ma vavattenne! (trad. Ma vattene via!)
- Oggi non si sente bene? Non sta facendo pipì, devo trasferirla per farle fare degli esami...
- Ma vafangulo va' (trad. non letterale : Ma vai a quel paese)
- Carlo, che le ho fatto? La sto trattando bene!
- Ma vavattenne! Vafangulo a te e chitemmuort!
(Trad. non letterale: vattene e vai a quel paese,  a te e ai tuoi cari estinti!)
...
Ecco, chissà se gli autori americani del DSM 5 (*) hanno mai conosciuto il signor Carlo...

(* DSM 5: è la versione più recente del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali)

domenica 24 novembre 2013

Ti lasciai

Ti lasciai con rabbia,
col male della nostalgia a divorarmi.
Ti lasciai con dispetto,
matrigna avara di lavoro.
Ti lasciai con affetto,
col proposito di tornare.
Ti lasciai col timore
del tremar della terra,
là dove ero diretta.
Arrivò l’alluvione …
Mi cacciasti per salvarmi,
aspra madre terra.

Annalisa Soddu " 24/11/13
Dedicata alla mia amata Sardegna, dopo l’alluvione del 19 novembre 2013

sabato 16 novembre 2013

Booktrailer a "IL fuoco di Lorenzo"

                       
                          Booktrailer a "IL fuoco di Lorenzo": incipit del racconto "La moglie di Pietro"

giovedì 14 novembre 2013

I fidanzatini di Peynet

I fidanzatini di Peynet stanno seduti su una panchina: lui la circonda con un braccio e con l'altro le tiene la mano. Lei ha lo sguardo fisso e il viso immobile, dall'espressione sempre uguale; lui, invece, ha un'aria fatua.
Si fa lo shampoo colorato per sembrare più giovane, lo si nota dalla vistosa ricrescita grigia. Vent'anni fa era sicuramente un bel ragazzo, nonostante non fosse proprio un genio e  la malattia mentale ne abbia ulteriormente compromesso le facoltà psichiche.
Lei ha un po' un'aria da arpia, ma è ammalata anche lei e la fissità della mimica è legata probabilmente alle terapie che fa ormai da anni.
Si sono conosciuti tra i letti d'ospedale e saranno già dieci anni che stanno insieme. Lui vede solo lei e, grazie alla ricca pensione gestita dall'assistente sociale, una donna buona e onesta, è ben vestito, profumato e ricopre la sua amata di regali costosi: gioielli, borsette, cellulari, radioline, cosmetici.
Anche lei ha la pensione d'invalidità, ben custodita e poco utilizzata grazie alla prodigalità di lui.
Fantasticano da anni di una vita insieme, vivono di questo sogno senza preoccuparsi di realizzarlo; si scambiano baci appassionati nei quali lui appare perso, mentre lei mantiene la stessa espressione distante. Non vanno oltre quei baci, vivendo di un amore castissimo che si nutre di se stesso. Dopo il bacio, lui la abbraccia col visto trasfigurato e sorride al cielo, felice ed appagato.
L'altoparlante del giardino della clinica trasmette una mazurca; al ritmo di quell'allegro motivetto passeggiano lungo la siepe: i loro cuori danzano.



mercoledì 13 novembre 2013

Addio Antonio M.

Vorrei salutare Antonio M., che ieri notte si è spento, a 44 anni, dopo una malattia neurodegenerativa ereditaria che iniziò a manifestarsi in lui una decina di anni fa. Si è consumato lentamente e, per fortuna, senza più consapevolezza. L' ultima cosa che mi disse fu che pensava di scappare per andare a comprarsi le sigarette, delle quali in realtà non aveva alcun bisogno perché lo facevano fumare quando voleva mantenendogli la sigaretta, dato che lui, ormai, non era più in grado di fare neanche questo.
La cosa più bella che ricordo è il suo illuminarsi, qualche giorno fa, in risposta al mio sorriso e alla domanda "Come sta?" alla quale rispose a fatica "Abbastanza bene, grazie", mentre invece era ormai uno scheletro rivestito di pelle e del quale ci si accorgeva che era ancora vivo scrutando il movimento lieve della gabbia toracica.
Era ora che te ne andassi, Antonio. Non ce la facevamo più a vederti in quello stato. Anche se tu sembravi contento.
Grazie per averci insegnato tanto.

giovedì 7 novembre 2013

La mela è marcia!

Molti anni fa, entrai in reparto dopo una notte molto tranquilla; giusto una chiamata per trattare un'insonnia. 
Verso le sette gli infermieri vollero offrirmi il caffè e passai nuovamente per il reparto. La maggior parte dei pazienti indugiavano ancora tra le coperte,  d'altra parte non erano attesi in ufficio e potevano permetterselo. 
Il corridoio era libero e silenzioso. Mi diressi verso la piccola cucina, situata all'estremità dello stesso. Per giungervi si doveva svoltare a destra, dato che il corridoio formava una L. 
Tre metri dietro l'angolo si materializzò all'improvviso una folle urlante: uscì d'impeto dalla stanza al grido di "la mela è marcia! La mela è marcia"!
Mi vide e si fermò: gli occhi erano sbarrati, i capelli in disordine, la bocca priva degli incisivi inferiori. Tacque. Poi lanciò un altro grido e si avventò nella direzione della mia persona.
Mi sentii come se dal centro del petto il cuore fosse sceso verso il basso. Non vi dico poi l'intestino, per pudore: anzi, sono convinta che per qualche istante abbia tentato di allontanarsi strisciando sul pavimento.
Ho avuto anche l'impressione che i capelli, per simpatia, abbiano copiato la pettinatura della signora, disponendosi a raggiera sulla sommità del cranio, dal quale il sangue era calato in un attimo ai piedi per prepararli alla fuga. E infatti un piede, quello destro, era ruotato di 180 gradi, mentre il sinistro voleva lanciare la scarpa in alto in un pallido tentativo di difesa. Gli occhi -i miei- erano sicuramente sbarrati, lo so perché tanto si sono fatti grandi che li ho visti riflessi nella finestra.
Quanto durò quell'attimo non saprei dire; ma la classe non è acqua, dice il proverbio: e mica vorrai perdere la tua elevata professionalità solo perché ti stai facendo sotto dalla paura! Nella peggiore delle ipotesi ti strapperà tutti i capelli; se però mi rompesse gli occhiali mi darebbe fastidio, perchè, poi, se non vedo neanche sento...
Da dove mi sia arrivato il lampo di genio non posso capirlo: fatto sta che misi le mani avanti con i palmi aperti in direzione della signora, assunsi una severa aria di rimprovero e dissi con voce ferma (se sapesse, la signora, quanto ho faticato per raccogliere il fiato!): "NO"!
Ebbene, Dio e tutte le schiere celesti mi fecero 'o miracolo: la signora si bloccò al centro del corridoio (venti centimetri dalla sottoscritta), mi guardò sorpresa... si voltò e percorse la strada a ritroso continuando ad urlare: "La mela è marcia"! Ed io, passando dietro di lei a distanza accuratamente calcolata, dissi "Non si preoccupi, adesso ci pensiamo noi"!
Così, sempre guardandomi le spalle, mentre la signora rientrava nella sua stanza, deglutendo un infinito numero di volte, mentre il sangue dalle caviglie risaliva al cervello provocando un intenso formicolio e le gambe tremolanti stentavano a mantenermi eretta, facendo finta di niente entrai nella piccola cucina dove il profumo del caffè si annunciava come una medicina e dissi agli infermieri: "Ah... la signora Porfido è agitata... datele venti gocce di delorazepam..."
Quindi mi schiantai sulla sedia e, finalmente, bevvi l'agognato caffè.


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domenica 3 novembre 2013

Forse un rimorso

Per attenderlo parcheggiai all'ombra; ci saranno stati una trentina di gradi, ma per fortuna non c'era afa e non si sudava troppo. Avevo per la prima volta indossato un freschissimo abitino nuovo e ci tenevo molto a non intriderlo di sudore. Arrivò con una valigetta 24 ore, un aspetto un po' impettito. Pensai che avesse circa sessant'anni; immaginai che la valigetta contenesse tutti i referti medici precedenti relativi alla moglie, che di lì a poco avrei dovuto incontrare.
Lo feci accomodare in auto, perchè prima che visitassi la moglie voleva raccontarmene la storia clinica, dato che lei sembrava non essere in grado di farlo; ed io mi preparai a ricevere un grosso malloppo di carte così come appariva dallo spessore della valigetta.
Invece, guardando fisso davanti a sè, cominciò a raccontarmi della storia personale della moglie: donna che si era incaponita a volerlo sposare nonostante lui non la amasse, tanta era la passione che nutriva nei suoi confronti....; donna intelligente che però, testardamente, non aveva concluso l'università per non aver voluto cambiare materia, donna che lui aveva convinto, senza difficoltà, a lasciare il lavoro per allevare i bambini; cosa della quale si era pentito amaramente, perché riteneva fosse una concausa del successivo malessere di lei, iniziato tanti anni addietro e mai più finito.
Nel dire queste cose guardava ora davanti a sé, ora fuori dal finestrino, con un sorriso sarcastico che alternava ad espressioni di disgusto ed insofferenza, che mi facevano pensare a quanto quella moglie, ora così malata, dovesse avergli dato problemi, al punto da nutrire odio, rancore e rabbia.
Accolsi con qualche perplessità e un po' di sconcerto quelle manifestazioni. Non feci commenti. Quando ebbe finito, mi guidò con la sua auto fino al portone. Mi aprì una ragazza che con aspetto indifferente mi condusse verso la cucina. Un forte odore di sporcizia  mi fece quasi arretrare.
Sul cuscino untuoso di una vecchia poltrona era seduta una donna obesa di una settantina d'anni, con lunghi capelli grigi, i baffi, un enorme scandaloso seno e la pelle desquamante.
(racconto iniziato il 4 agosto 2013)
**********
3 Novembre 2013
Ho interrotto la scrittura di questa storia, senza sapere perché. Non riuscivo ad andare avanti.
Quell'uomo che all'inizio mi aveva ispirato dei sentimenti così negativi, mentre andavo via dopo la visita - con la quale non avevo concluso nulla, data la mancata collaborazione della signora, se non avere la conferma al mio sospetto di una psicosi cronica residua - mi disse con uno sguardo completamente trasformato, quasi avesse una visione celestiale: "Io sono sicuro che, se io fossi stato un uomo diverso, mia moglie non si sarebbe ammalata". Quella frase mi  addolcì verso di lui, lo vidi come un uomo che, accortosi di aver fatto degli errori gravi, alla fine avesse capito di amare la moglie, che lo aveva a sua volta tanto amato, e quindi sentisse ora l'obbligo morale di accudirla.
Io, che lo avevo mio malgrado giudicato, ora lo riabilitavo dentro me stessa.
In seguito parlai col medico che mi aveva indicato all'uomo. Con mia grande sorpresa, mi riferì che lui lasciava la moglie sola per ore e chiusa a chiave; lo aveva scoperto l'assistente domiciliare della donna, che andava poche ore la settimana e che ne aveva raccolto una confidenza improvvisa e inaspettata, considerate le sue condizioni psichiche di chiusura. In un momento di lucida loquacità, ella disse: "Se la moglie non si lava, il marito non si avvicina".
Quella frase mi fece capire: una donna sicuramente molto bella, in gioventù, con vistosi attributi sessuali, intelligente e innamorata al punto di accettare un uomo che non l'amava, ma che di lei aveva comunque goduto e che aveva avuto anche come governante, una donna comoda, insomma; lui aveva comunque fatto la sua vita e lei aveva sicuramente sofferto molto, finché la sua psiche aveva ceduto e inconsapevolmente si era liberata di lui, trovando il modo di tenerlo lontano.
Lui, seppi dopo, le diede la terapia solo allo scopo di tenerla più addormentata possibile così da poter uscire tranquillamente e fare la propria vita, probabilmente con un'altra.
Non so se i servizi sociali le trovarono una diversa collocazione, dopo la segnalazione dell'assistente.
Solo oggi, completato il puzzle, riesco a concludere la mia narrazione.
A voi giudizi e conclusioni.

venerdì 1 novembre 2013

Un padre

"Buongiorno dottoressa sono il papa' di Sandra. Questa mattina per futili motivi ha litigato con la mamma ed uscendo di casa è stata per un po' da sola a piangere. In questo momento non sta bene, mi dice che mi devo convertire e ritornare il papa' buono che ero fino a 2 mesi fa. Per farla stare buona e tranquilla le dicevo che era Dio che mi diceva le parole giuste che le dicevo e quindi lei ora si sente smarrita senza di me. 
Io non so più cosa fare, se dirle che queste cose son frutto delle allucinazioni e che non sono vere o continuare a mentire per farla stare tranquilla. Non vado oltre; mi dia dei consigli per il mio comportamento. Mia moglie mi dice che continuo a sbagliare ad assecondarla. Appena ha tempo libero mi faccia sapere. Grazie di cuore per la sua disponibilità e le auguro buona domenica." 

"Mi scusi dottoressa la disturbo anche oggi che è domenica, ma io sto male al pensiero che Sandra abbia avuto un'altra ricaduta e adesso lei vuole il primo fidanzato e non più l'attuale e comunque spero solo che da domani con la nuova terapia incominciamo a stare meglio sia lei che noi. Questo che è successo è stato per mia colpa e non trovo più pace non so più cosa fare perché ho perso tutto: mia moglie, mia figlia e il suo fidanzato che è irraggiungibile. Scusi ancora se la disturbo sempre. 
Un padre che non ha saputo fare il padre."




"Strega d'altri tempi"

Strega d'altri tempi




lunedì 28 ottobre 2013

L'ostaggio

La violenza esplose come quei fiori del deserto che sbocciano all'improvviso. Fu un boato, rimbombante nel vuoto tra le montagne, un colpo di fucile seguito da un'eco riverberante, respinta tra le pareti dei monti come fa una pallamatta lanciata da un ragazzo. Fu come un torrente che dopo ere di siccità avesse ritrovato all'improvviso la strada antica e l'avesse stuprata.
La folle furia si abbattè sulle membra inconsapevoli della donna, cogliendola nel sonno, totalmente inerme. La ragazza, pur ridotta quasi allo scheletro per i trent'anni di anoressia,  vomitava pugni e calci come un vulcano i sassi ed il fuoco. Cosa c'era in quella furia: l'odio eterno per essere stata messa al mondo, per l'incapacità a spegnere il suo male, per le pietanze cucinate con l'inesatto numero di calorie, per non essere sufficientemente rapida - a sessanta e passa anni - a eseguire gli ordini e soddisfarne i capricci. L'odio animava quelle ossute braccia conferendo ad esse una forza che di umano non poteva aver nulla, che certamente proveniva dai demoni dell'inferno con i quali aveva stretto il patto a otto anni, quando cominciò ad alimentarsi solo con pizzette e cocacole ed a tenere in ostaggio la allora giovane madre che, incapace di comprendere che era iniziato un male oscuro, iniziò ad assecondarla nelle sue stravaganze alimentari e non solo.
Da allora la donna e la ragazza furono carnefice e vittima l'una dell' altra, alternandosi nel ruolo e cacciando via gli altri membri della famiglia: padre e sorella che dovettero andare a vivere altrove. Nessuno capì la portata del dramma: assecondarono la stranezza, forse per paura, forse per vergogna ad ammettere l'insanità della ragazza, forse per follia condivisa, o chissà perché.
Risvegliata dal dolore, l'anziana donna tentò di ripararsi con le braccia: sulla pelle vistose chiazze rosso bluastre iniziavano a confluire per formare mappe sanguinolente. Rotolò dal letto lasciandosi cadere sul pavimento, dove la raggiunsero nuovi calci, sferrati in maniera diversa dai primi: quelli con la gamba alzata e di tacco, questi dati con la punta delle scarpe e più alla cieca. In qualche modo ella si levò da terra e corse a ripararsi nel bagno, ma, mentre tentava di chiudere la porta, lame di forbice si infissero nel braccio recidendo una vena.
Fu una festa di sangue: il bel liquido amaranto si riversò sinuoso sull'arto incredulo,  sulla camicia da notte che, avida, lo bevve, quasi terra riarsa con le piogge dell'autunno; sul pavimento bianco del bagno che si pavoneggiò e sorrise per quell'inatteso abito da sera.
La madre volse su quel sangue lo sguardo sorpreso: e sorpresa si disegnò anche sul volto della ragazza.
Si guardarono negli occhi: identico era lo stupore. Quindi la donna anziana, indebolita dalla perdita e dal massacro, si accasciò.
La ragazza chiamò il padre.
Il padre, senza dir nulla all'altra figlia, andò nella prima casa e trovò le macerie della guerra.
Non ebbe il tempo di pensare,  impaurirsi o capire. Raccolse la donna per portarla all'ospedale.
Nel suo lucido delirio la figlia obbligò entrambi a giurare che non avrebbero sporto denuncia e a dire che era stato un incidente domestico.
E poiché nessuno vuole rogne, i sanitari finsero di crederci; nonostante i lividi gonfiassero il volto della donna, nonostante le scarpe avessero lasciato un tristo marchio sull'addome, i glutei, le braccia, le gambe.
L'ostaggio tornò a casa.




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giovedì 24 ottobre 2013

Ancora Alda Merini

"La semplicità è mettersi nudi davanti agli altri... E noi abbiamo tanta difficoltà ad essere veri con gli altri. Abbiamo timore di essere fraintesi, di apparire fragili, di finire alla mercé di chi ci sta di fronte. Non ci esponiamo mai. Perché ci manca la forza di essere uomini, quella che ci fa accettare i nostri limiti, che ce li fa comprendere, dandogli senso e trasformandoli in energia, in forza appunto. Io amo la semplicità che si accompagna con l’umiltà. Mi piacciono i barboni. Mi piace la gente che sa ascoltare il vento sulla propria pelle, sentire gli odori delle cose, catturarne l’anima. Quelli che hanno la carne a contatto con la carne del mondo. Perché lì c’è verità, lì c’è dolcezza, lì c’è sensibilità, lì c’è ancora amore".

Alda Merini


giovedì 17 ottobre 2013

Uva!

"Dottoressa sto morendoooo!!!!!! Me ne sto andandooooooo!!!!!!!!"
"Come sarebbe a dire???"
Sì me ne sto andando!!!!! Sto morendo!  Sto morendo! "
"Ma non direi! Perché dice questo? "
"SÌIIII! STO MORENDO! HO MANGIATO U-VA! "
"Cioè l'uva le ha fatto male? Ha mal di pancia? O le è andata di traverso? "
"Noooo... ho mangiato U-VA! U-VA!  Uno che VA!"

... :-)

lunedì 14 ottobre 2013

Cinzia fa una richiesta.

Cinzia ha 24 anni , è alta e molto formosa, veste in modo estremamente appariscente. Oggi indossa due enormi orecchini dorati a forma di foglia, una vistosissima collana dorata fatta di lastre di metallo ravvicinate, un giubbotto di pelle beige, un paio di fuseaux che fanno risaltare le cosce massicce e il sedere grande ma ben fatto.
Il trucco è molto deciso: rossetto color fuoco, matita nera a contornare gli occhi, lunghe ciglia finte.
Gli splendidi occhi castani sbarrati, il viso imbronciato, mi dice che è stufa di essere Maria Maddalena e di parlare con Dio e vedere angeli, diavoli e fantasmi.
Il colloquio che abbiamo verte su questo argomento finchè non le chiedo di far entrare i suoi accompagnatori, cioè i genitori ed il ragazzo, del quale finora mi ha parlato in maniera ambivalente, dicendomi che lo vuole e non lo vuole.
E' un ragazzo che sembra amarla molto ed è disposto a stare con lei a dispetto della sua malattia e di tutte le difficoltà che questa comporta, prima fra tutte la necessità della costante assunzione di una terapia composta di numerosi farmaci.
Alla fine del colloquio, Cinzia chiede nuovamente di restare sola con me per qualche altro minuto. Chiude la porta e si siede nuovamente:
"Dottoressa, io voglio sposarmi;  voglio un figlio. Lo desidero tantissimo. E' il coronamento di una vita. Un matrimonio senza figli che matrimonio è? Posso avere un figlio, io?"

Io? Io? Io chi? Tu o io, Cinzia? Che mi chiedi? I pensieri danzano nel mio cervello nel giro di frazioni di secondo. Tu lo chiedi a me Cinzia, se puoi avere un figlio? Tu sei abboffata di cinquanta medicine diverse che possono creare malformazioni fetali e mi chiedi se puoi avere un figlio? Ma tu con la malattia che hai? E' un desiderio legittimo? Ma come ti permetti di pensare una cosa del genere? Come puoi mettermi in tale difficoltà, che ti debba dire che non lo puoi avere perchè prendi tutti quei farmaci, poi come faresti ad averne cura tu con una malattia così grave? Come ti permetti di provocarmi la voglia di piangere per la tua sorte tristissima, io che so bene cosa vuol dire desiderare di avere un figlio, perchè l'ho desiderato per anni prima che arrivasse, dal momento che non avevo con chi farlo, ma avevo comunque una speranza di arrivarci? E tu invece, che avresti con chi farlo ma non devi non puoi assolutamente perchè genereresti un mostro e poi tu sei malata e forse non guarirai.... che mi chiedi, Cinzia, che mi chiedi, perchè mi fai questo male?
Sì, è un desiderio più che legittimo: è un desiderio sano e forte in una mente malata che in questo momento reclama la vita e il diritto alla prosecuzione di sè. E' un desiderio normale che ha diritto di essere: ed io che diritto ho di ucciderlo, questo desiderio? Fai schifo, dottoressa, fai schifo. Cerca di trovare le parole giuste, trattieni il respiro e non far vedere le lacrime, professionista da strapazzo.

"Senti, Cinzia: io non lo farei, perchè è una situazione molto rischiosa per via dei farmaci che prendi e senza i quali potresti avere una ricaduta del tuo disturbo; ma se tu e il tuo ragazzo fate un progetto di vita insieme e starai meglio e il desiderio è molto forte, dovremo provare a ridurre la terapia al minimo indispensabile e fare tutti i controlli che la situazione richiederà. Perciò adesso credo sia ancora presto per pensarci, hai ancora altri trent'anni circa di tempo, ora cerca di guarire e vedi se con questo ragazzo le cose andranno avanti. A me sembra un bravo ragazzo e che ti voglia bene. E chi lo sa che tu non possa guarire?"

Sorride? Cinzia sorride? Ho trovato la risposta giusta? Mi abbraccia! Dice grazie! E' felice! Non posso crederci. Quasi mi sento male, sudo. Sono abile a mascherare, anni di esercizio... Chiama i suoi, salutano, lei mi abbraccia, mi chiama "il mio angelo". Si congedano tutti sorridenti con grandi strette di mano.
Sono di nuovo sola. Mi siedo e finalmente posso piangere. 
Figlio mio, quanto ti ho desiderato. 


martedì 24 settembre 2013

Un occhio attento: conoscere la malattia mentale.

  Gli ultimi drammatici fatti di cronaca (l'omicidio di un turista a Roma e quello di una psichiatra dell'ASL di Bari da parte di persone affette da disturbi psichici), hanno nuovamente acceso i riflettori (che vanno ad intermittenza! ) sull'annosa questione della gestione della malattia mentale e indotto l'opinione pubblica ad avere paura di chi da essa è affetto. Le domande sono sempre quelle: il malato di mente é un pazzo? E allora, se è pazzo, è pericoloso? È facile fare l'equazione: malattia mentale = pericolosità sociale, ma quanti sono, in realtà,  quelli che conoscono a fondo questo mondo - quello della follia - insieme inquietante ed affascinante? Probabilmente solo gli addetti ai lavori e i familiari dei malati; e sì, dal momento che non ci sono altre opportunità,  nel corso della vita, per capirne qualcosa. La scuola dovrebbe educare alla salvaguardia della salute, ma riguardo a questo argomento,  così come accade per l'educazione sessuale,  essa sembra inadeguata o, peggio, indifferente. Come può un familiare capire che qualcosa sta accadendo ad un congiunto? La principale spia che qualcosa non va è il cambiamento: una trasformazione degli aspetti del carattere,  delle abitudini,  della vita fino a quel momento condotta. Un ragazzo che fino ad un certo punto è stato socievole ed allegro, pieno di amici, che improvvisamente inizia a chiudersi in camera e ad uscire solo la notte per mangiare,  oppure che vede nemici e complotti dappertutto;  una ragazza che prima si truccava e agghindava e improvvisamente o progressivamente diventa sciatta e disattenta alla cura di sè e piange continuamente,  un anziano che inizia a non trovare la strada o a non riconoscere luoghi o persone,  sono indizi che dovrebbero indurre i familiari ad accompagnare il congiunto a visita. Alcune situazioni saranno risolvibili, altre necessiteranno di monitoraggio o cure continue: certo è che non vanno trascurate. Non tutte saranno il preludio alla "pazzia" nè, tanto meno, alla pericolosità dell' individuo: spesso, per questi ammalati, siamo più pericolosi noi che non il contrario.

sabato 21 settembre 2013

Il dolore ha strani volti.

Chi poteva aspettarselo: vuole tornare all'OPG (ospedale psichiatrico giudiziario) e farsi chiudere in una stanza. Una cella ben chiusa con una feritoia per far passare il cibo e fornita di servizi igienici, così da non dover più uscire. Vuol restare chiuso lì, dimenticato da tutti, a tempo indefinito, in quella stanza rettangolare oppure quadrata, ma che abbia lo spazio che gli consenta di passeggiare avanti e indietro e riflettere sul problema che lo attanaglia: il problema dell'AUTOCONTROLLO.
Ritiene che il suo problema sia quello: non riuscire a controllare gli impulsi mostruosi che lo inducono all'omicidio. Per fortuna, finora tentato tre volte e mai compiuto.
Piange singhiozzando, grossi lacrimoni gli rigano le guance.
Un mancato omicida che si dispera??? Dove mai s'è visto???
Non ti aspetti che quelle lacrime si infilzino dritte dentro il tuo cuore; ed anche i colleghi sono turbati. Vorremmo forse non credergli. Quelle lacrime sono di dolore e disperazione autentici.
Il vero dramma è che all'OPG per lui non c'è più posto, anche perché non ha commesso altri reati.
Senza contare che gli OPG dovrebbero progressivamente chiudere e dismettere tutti gli ammalati/criminali.
Qualche anno fa un collega fu ucciso da un paziente che voleva tornare in OPG.
Anche questo signore poco tempo fa prese un martello per darlo in testa a qualcuno, così da tornare in OPG a riflettere sul proprio autocontrollo.
Dovremmo cercare di accontentarlo, ma la legge non ce lo permette, a meno che non commetta altri reati.

Siete d'accordo con me sull'assurdità di tutto questo? Non è un serpente che si morde la coda? Non è una probabile tragedia annunciata???

Lui è un ammalato. Lui va tutelato e vanno tutelati anche coloro che potrebbero essere i prossimi protagonisti del suo delirio.
Tutti noi.

mercoledì 4 settembre 2013

La lista si è allungata


Ecco qua: un'altra vittima.  Questa volta si tratta di una collega,  psichiatra all'ASL di Bari, che ha avuto la sventura di rifiutare i soldi ad un tossicodipendente, il quale pochi minuti prima era stato presso un altro presidio sanitario dove non aveva trovato nessuno. Qualche giornalista geniale ha parlato di femminicidio, ma in questo caso la lotta tra i sessi non c'entra nulla e chiunque avesse avuto la sventura di negare i soldi a quel disgraziato, avrebbe probabilmente fatto la stessa fine.
Non se ne può più di subire questo sterminio di mogli mariti figli padri madri compagni per colpa di questi disgraziati.  Se sono malati che vengano sottoposti all'OBBLIGO DI CURA e se sono drogati gli si consenta di drogarsi LEGALIZZANDO questi veleni MA IMPEDENDO LORO DI AVERE LA PATENTE così che ammazzassero solo se stessi e obbligandoli a corsi informativi sui danni legati alle droghe.
BASTA CON QUESTO STERMINIO, basta con i pietismi che, alla fine, creano dolore e guai a tanti malcapitati innocenti. 

Inviato da Samsung Mobile

venerdì 30 agosto 2013

La passione del caregiver

La signora Marzia contrasse matrimonio; era felice come tutte le giovani spose e così era il suo sposo. Erano innamorati e volevano metter su famiglia, con tutte le migliori intenzioni.
La signora Marzia, pur così giovane, aveva avuto qualche momento di difficoltà: dei periodi di tristezza passeggeri, che non avevano ridotto l'amore che il marito nutriva per lei, così carina e dolce. E poi aveva anche dei periodi migliori, in cui era allegra e piena di vita.
Dopo l'ultima gravidanza - ebbe due figli maschi - manifestò un brutto momento, con molta tristezza e difficoltà ad occuparsi dei figli, ma per l'ennesima volta si sottopose a delle cure e tutto sembrò passare; migliorò nelle capacità di accudimento e come potè tirò su i due bambini. D'un tratto sentì che le energie aumentavano a dismisura: iniziò a pulire la casa con foga, con grande velocità seppure in modo impreciso; ma poi sentì che qualcosa era cambiato: era cominciata, dentro di lei, la lotta tra il bene e il male e, lungo la sua schiena, era comparso un serpente che altri non era che il Maligno. In casa, poi, le Presenze erano una ulteriore testimonianza che Satana avesse preso possesso della sua umile dimora.
Cominciò pertanto ad intensificare la frequenza alla chiesa, a tal punto che trascurò i figli, che crebbero sempre più soli e da lei trascurati, poichè diventò difficile curare quel nuovo aspetto del disturbo della signora. Il marito si diede al bere e iniziò a maltrattarla, con le parole e, a volte, anche con le mani.
Il figlio più piccolo era comunque molto legato alla madre e volle proteggerla: ne diventò l'ombra, l'infermiere, il curatore, il cuoco, il servo, il difensore. Per lei interruppe gli studi ben avviati, non si allontanava mai troppo per paura di lasciarla sola a subire i maltrattamenti da parte del padre  e arrivò al punto, quando perse il lavoro per la grave crisi che attanagliava il Paese, di rinunciare a cercarlo fuori dal piccolo paese per non abbandonare la madre, il cui disturbo si era cronicizzato senza più speranze di guarigione.
Era un uomo dolce e mite, abituato a soffrire e, quando andò male anche un legame affettivo con una ragazza della quale era perdutamente innamorato, soffrì in silenzio, senza farsi accorgere: fu davvero un colpo terribile per lui, dal quale si riprese a fatica, ben sapendo che, dopo di lei, non avrebbe mai più provato un sentimento analogo.
Si aggiunse al tutto la terribile malattia del padre, che potè essere curata solo mediante una gravissima mutilazione di questi, che in seguito aumentò la quotidiana quantità di alcol. Allora l'uomo mite si fece carico anche di lui.
Pian piano l'uomo mite si ammalò. Piangeva, piangeva sempre; le forze iniziarono a mancargli, si trascurava, non mangiava più, non dormiva più, era in allarme per ogni sciocchezza. Iniziò anche lui a prendere medicinali e si riprese per un periodo, nel quale continuò ad annullarsi per prendersi cura di padre, madre, casa, cani e gatti.
La seconda delusione amorosa lo annientò.
Fu così che gli prescrissi di fare una vacanza e, poichè faceva resistenza, dissi ai familiari che lo buttassero fuori a calci.
A mali estremi, estremi rimedi.
Il padre pianse, la madre rise.


giovedì 22 agosto 2013

L'insulto

D'improvviso sento i rumori di una lite: urla di due persone che si fronteggiano, voci concitate, rumori di sedie. Tendo l'orecchio per cercare di capire. Mi affaccio fuori dell'ambulatorio, ma i due si trovano nell'altra ala e non riesco a vederli. Congedo l'utente col quale ero a colloquio e mi affretto al luogo della lite: Antonio, un energumeno con un vocione da tenore, urla livido di rabbia contro Stefano, un omino col naso adunco. Antonio è fuori di sé e, dall'atteggiamento del corpo, intuisco che potrebbe passare all'azione. Afferro il suo braccio sinistro inducendolo a voltarsi:
- Antonio, calmati! Dimmi cosa è successo!
- Dottoressa sono incazzato nero! Sono furioso!
-Ma perché!?!
- Questo animale ha mandato affanculo mia sorella!!!!!!
- Antonio, MA TU NON CE L'HAI UNA SORELLA!!!!!

sabato 17 agosto 2013

Caccia ai colpevoli

E', purtroppo, cronaca recentissima l'uccisione di un turista straniero da parte di un ragazzo affetto da schizofrenia, che lo ha aggredito senza apparente motivo massacrandolo di calci.
Il ragazzo la sera precedente si era allontanato da casa e il padre era corso a fare la denuncia di scomparsa, avvertendo i carabinieri che senza terapia è molto aggressivo.
Attualmente, la denuncia di scomparsa comporta lo stato di allerta immediato di tutte le forze dell'ordine, cosa a mio avviso molto positiva, dato che prima occorreva attendere 24 ore perdendo tempo prezioso.
Purtroppo, in questo caso, l'immediatezza dell'allarme non è valsa ad evitare la tragedia. Il poveretto è stato aggredito in una stazione alle cinque del mattino e nel pomeriggio è deceduto.
Adesso c'è la corsa alla ricerca delle responsabilità. Il ragazzo, raccontano i giornali affamati di notizie, aveva già gravi precedenti penali: stupro di gruppo, aggressioni. E allora, si chiede il magistrato, come mai non era sottoposto a misure restrittive?
I giornalisti ci fanno sapere che era stato ricoverato presso una nota casa di cura ed era stato dimesso con la sola indicazione di assumere la terapia. E chissà quali altre fesserie scriveranno i nostri giornalisti, pur di riempire le scarne cronache locali.
Cari giudici, cari giornalisti: cosa realmente sapete voi del mondo della malattia mentale? Assolutamente nulla. Quando il ragazzo ha iniziato a commettere reati, che avete fatto? Lo avete delegato ai medici pensando che vi facessero il miracolo; ma non sapete che se uno non è dichiarato incapace di intendere e di volere nessuno può trattenerlo in una casa di cura contro volontà? E se non si vuole curare non è possibile obbligarlo a meno che non venga fatto un trattamento sanitario obbligatorio che di solito dura pochi giorni e non può essere fatto se non sussistono ben precise condizioni? E sapete quanti genitori rifiutano la malattia del figlio o la nascondono e non vogliono chiedere l'interdizione o hanno talmente tanta paura da tacere situazioni di violenza familiare? Sapete che molti familiari ricoverano malvolentieri i loro figli o parenti e spesso li fanno dimettere prima di avere raggiunto un soddisfacente compenso clinico?
Sapete voi che uno psichiatra  non ha la sfera di cristallo e non sempre è possibile prevedere se un ammalato si suiciderà o se farà del male a qualcuno? Sapete che lo psichiatra può essere accusato se fa "A" così come se fa il contrario di "A" e quindi deve giocare di fantasia nel gestire la malattia mentale?
Perché all'ennesimo reato questo ragazzo è stato lasciato libero di tornare a casa? Ed era o no aggressivo anche con i familiari? Vi siete premurati di indagare questo aspetto?
Sappiamo già cosa succederà adesso: bisognerà trovare l'ultimo medico che lo ha visitato per accusarlo di non averlo seguito. In realtà questo ragazzo aveva una terapia non solo orale, ma anche a lento rilascio. Ma i farmaci non sono bacchette magiche e quando le leggi sono carenti perché fatte da persone ignoranti in materia, tutto viene lasciato alla buona sorte.
Piangeremo questo signore per qualche giorno tramite i giornali, dimenticando che anche la famiglia del ragazzo è nel dramma e chissà da quando lo è, così come sarà nel dramma il capro espiatorio che presto verrà trovato nella persona di qualche specialista che annaspa nel mare magnum della follia delle leggi sulla psichiatria, cercando di fare il proprio dovere nel modo meno peggiore, perché solo questo si può dire di questo mestiere. Sarà lapidato nella pubblica piazza.

venerdì 26 luglio 2013

I parenti

Questa storiella mi fu raccontata qualche anno fa da una collega che lavorava in un ospedale.

Un giorno fu trovato, buttato in mezzo alla strada, un corpo rantolante e febbricitante. Era ubriaco fino al midollo, ma anche gravemente ammalato. Tramite l'ottimo servizio del 118 venne trasportato in ospedale, ove fu fatta diagnosi di polmonite. L'uomo non aveva nessuno, perchè aveva dato fastidio per tanti anni, a causa del suo alcolismo, cosicchè i familiari lo avevano abbandonato al proprio destino e non se ne curavano più.
Grazie alle cure praticate, ebbe un rapido miglioramento così da rimettersi in piedi abbastanza presto.
Una mattina, mentre chiacchierava nella sala d'attesa del reparto, ebbe un infarto fulminante e morì. I soccorsi immediati e l'utilizzo del defibrillatore non valsero a restituirgli la vita.
I parenti, rintracciati a stento, gli fecero fare un funerale molto economico, giusto per levarselo dai piedi definitivamente prima possibile.
Passato qualche mese, però, decisero che, forse, dalla situazione avrebbero potuto ricavare qualcosa: molte pubblicità insistevano sulla malasanità e offrivano l'opera di valenti avvocati addestrati allo scopo. Si profilava la possibilità di avere un bel risarcimento.
Fecero, dunque, la denuncia e tutti i medici che avevano messo mano alla cartella furono indagati. Dovettero cercare degli avvocati e iniziarono per loro dei mesi d'inferno. Ognuno di loro ripercorreva quotidianamente col pensiero il proprio operato, anche più volte al giorno, sebbene non riuscissero a trovare alcunché che potesse giustificare tale denuncia. Alcuni di loro persero il sonno e andarono in depressione; altri dovettero chiedere un prestito per pagare le spese degli avvocati e dei periti di parte.
Dopo qualche mese, i parenti, su consiglio dei loro avvocati, chiesero ed ottennero di riesumare la salma per effettuare un'autopsia e delle indagini radiografiche, ma, a causa dell'eccessiva economia osservata per le esequie, la salma era talmente decomposta da non consentire i riscontri.
Insomma, passati quattro anni d'inferno, i medici furono tutti assolti per non aver commesso il fatto e i parenti dovettero pagare le spese processuali: ma da allora qualcuno non dorme più senza pastiglie ed altri praticano ad oltranza la medicina difensiva, sottoponendo i pazienti ad un'infinità di esami costosi ed inutili che, però, servono a tutelare il medico riguardo a nuovi tentativi di ottenere risarcimenti da parte di mascalzoni.

A voi le conclusioni.

sabato 20 luglio 2013

C'erano una volta...

C'erano una volta... i manicomi. Erano dei posti molto brutti, dove le persone venivano spesso rinchiuse perché davano fastidio, oppure perché erano proprio pazze pazzissime, così da combinare un sacco di guai e non potere assolutamente essere tenute in casa. Poi i manicomi si tentò di eliminarli progressivamente e rimasero altre strutture che, a vario titolo e in varia maniera, ospitarono i malati.
Uno di questi si chiamava Francesco, noto Ciccio. Non era proprio un classico malato di mente, ma un ragazzone altissimo di trent'anni, magro da far paura e con un'età mentale di circa tre anni. Non era un ragazzo cattivo, ma aveva un'abilità straordinaria nell'accorgersi di chi, invece, voleva fare il cattivo con lui e, in queste occasioni, partiva di destro come il più esperto dei pugili, per rompere nasi e zigomi e lasciare vistosi occhi viola. Era, perciò, temutissimo, ma ogni tanto qualche sgarbataggine sfuggiva ugualmente e bisognava solo sperare di non essere sufficientemente a tiro.
Ciccio aveva anche una modalità tutta sua di essere affettuoso con la mamma: le circondava il collo in un tenero abbraccio e stringeva fino a che la poveretta si sentiva venir meno.
Perciò fu necessario trasferirlo in una struttura. I primi tempi furono molto difficili, perchè Ciccio non ci voleva stare e quando i genitori andavano a trovarlo, si ritrovavano con le braccia livide, tanta era la forza con la quale le stringeva; poi si adattò alla situazione. D'altronde, lui non chiedeva molto: voleva solo dormire e mangiare e faceva continuamente le stesse domande; solo che le faceva nel suo dialetto e con una voce quasi da bambino, perciò comprenderlo era difficilissimo... ed esponeva l'interlocutore al rischio del famoso tiro di destro. Ciccio, infatti, se non compreso diventava torvo e fissava il poveretto, che iniziava a sudare freddo e a disperarsi, ma per fortuna qualcuno degli altri utenti (e chiamali matti!) spesso arrivava in suo soccorso facendo la traduzione simultanea.
Dopo vari anni di degenza, i vertici della sanità locale decisero che Ciccio non era adatto a stare in quella struttura nella quale lui si sentiva di casa, ma doveva essere trasferito lontano, in un posto adatto a quelli che, come lui, erano affetti, secondo la diagnosi del Manuale Dei Manuali, da "Disturbi della condotta in ritardo mentale".
Vennero in pompa magna: Primario, Assistente sociale, Psicologa, Infermieri, Scagnozzi, Tirapiedi, Portaborse e Portamerende, Caffettiere Straordinario e Gran Ciambellano di Corte: chiamarono un'Ambulanza Ufficiale e, tenendosi alla giusta distanza in macchine che seguivano l'Ambulanza Ufficiale, lo fecero accompagnare senza se e senza ma, senza che potesse dire né A e né BA, da uno di quelli che già lo conoscevano bene: ma, quando Ciccio mise piede sul Sacro Suolo dell'Istituto di Riabilitazione dei Ritardatari Disturbatori Della Condotta E Della Quiete Degli Altri, iniziò a strillare come un'aquila o come un pollo e a menare fendenti tutt'intorno, facendo il vuoto intorno a sè.
Pertanto l'accompagnatore, unico ad essere risparmiato dalla furia, lo rialloggiò nell'Ambulanza Ufficiale e lo riportò lì donde era venuto, come si suol dire.
Indispettiti e non contenti di non essere riusciti a far rispettare la legge a un ritardato mentale, i vertici della sanità ricorsero a un altro trucco: qualche giorno dopo, anzichè abituare gradualmente il ragazzo alla nuova situazione, circondandolo dell'affetto dei suoi cari e della compagnia di persone a lui note,  pretesero che il medico di guardia della struttura di provenienza gli facesse una bella iniezione sedativa, che venisse coricato addormentato sulla barella dell'Ambulanza Ufficiale così da metterlo di fronte al fatto compiuto.
Ma il medico di guardia disse loro: "fossi scemo, fatelo voi!!!!! Non è compito mio e voi non siete i miei superiori! Arrangiatevi"!
Così nessuno di loro ebbe il coraggio di fare una iniezione a Ciccio e Ciccio rimase dov'era.


E adesso ditemi: meglio i Pazzi o meglio gli Scemi???????????

giovedì 18 luglio 2013

Mio cognato

"Pronto, è la dottoressa"?
"Sì, mi dica".
"Vorrei ricoverare mio cognato".
"Chi è"?
"Sono il cognato".
"SÌ! Ma chi è".
"Sono il cognato di mio cognato".
"Ho capito! Ma chi è"!?
"È mio cognato"!
"Sì! Ma chi è suo cognato"!
"Ah! Giovanni! È già stato ricoverato"!
"Giovanni chi"?
"Giovanni! Mio cognato! È stato ricoverato dieci anni fa! Se lo ricorda"?
....

:-)

domenica 14 luglio 2013

Il signor Luigi cammina all'indietro.

Il signor Luigi ha poco più di cinquant'anni, è  separato e ha tre figli grandi: chi lavora e chi studia all'università. La ex moglie, per amore dei figli  e perchè è una brava persona, ha comunque cura di lui e collabora con la cognata, sorella del signor Luigi, nel suo accudimento.
Il signor Luigi si è ammalato all'improvviso, pochi anni fa: ha iniziato a vedere un complotto ordito dall'esercito e si immedesima in un militare, parla con un commilitone di azioni strategiche, si protegge dai nemici e dalle bombe e, purtroppo, vede nemici dappertutto, motivo per cui può essere molto pericoloso, lui che era una pasta d'uomo.
Per fortuna ha finalmente risposto bene all'ennesimo tentativo terapeutico, anche se ha sempre gli azzurrissimi occhi sbarrati in uno sguardo decisamente inquietante.
Ora, però, accade una cosa strana: il signor Luigi cammina all'indietro.
Fa come il gambero!
Che può essere successo? Vien da ridere, a vederlo; disgraziatamente scappa da ridere anche a me, che stupidamente penso ad una stravaganza.
Più saggio di me, mi dice: "C'è poco da ridere; io non voglio camminare così".
Mortificata per aver perso il mio atteggiamento professionale ed avergli forse dato un dispiacere, mi scuso con lui: "Mi scusi, signor Luigi; pensavo stesse giocando". "Non sto giocando; è la schiena che si è curvata e mi fa pendere; per non cadere sono costretto a camminare all'indietro".
Capisco che si tratta di un effetto sgradevole della nuova terapia; la cosa mi dispiace moltissimo, perché è l'unico farmaco che gli ha fatto passare i deliri e le allucinazioni, rendendolo anche nuovamente innocuo.
Che paziente sfortunato...
Provvedo subito a inserire un farmaco adatto a contrastare gli effetti, ma nei giorni e nei mesi successivi, nonostante altri farmaci indicati allo scopo e la consulenza di un bravo ortopedico, dovrò constatare la risoluzione solo parziale del fenomeno.
Così, il signor Luigi continua a pendere come la torre di Pisa, ma almeno è tornato ad essere l'uomo buono, beneducato e gentile che è sempre stato.
Come dice il proverbio? Tra i due mali scegliamo il minore...
Peccato che qui si tratti di una vita umana e, davvero, il male minore non c'è.



sabato 13 luglio 2013

Sono morto.

Si inginocchia di fronte alla porta dell' ambulatorio,  fa il segno della croce e prega: "Fa' che il dottore venga, non ho con chi parlare..."
Il rito si ripete una volta la settimana, quando il dottore trova mezz'oretta da dedicare solo a lui. Sorride mestamente e con gratitudine : "Dottore, l'ho aspettata. Ho pregato che arrivasse,  non ho nessuno per parlare".
"Venga, si accomodi.  Come va oggi"?
Lui, immancabilmente,  mostra le braccia e scopre l'addome: "Sono morto, mi sono fatto secco secco, ho un tumore". Piange singhiozzando senza lacrime.
Il dottore sorride alzando gli occhi al cielo. Sa esattamente quali parole il sig. Aldo pronuncerà,  è un rituale che si ripete ogni settimana da anni.
"Ma no, Aldo, il peso è sempre quello e gli esami sono perfetti. Ma prende la sua terapia o fa storie?  Non è che la sputa?  Guardi che, se vengo a sapere questo, non parleremo mai più"!
"NO NO dottore, la prendo. Adesso però ho paura per il 26 luglio".
"Paura di che"? Dice il dottore, già conoscendo la risposta. "Che mi succeda qualcosa per sant'Anna".
"Perchè per Sant'Anna"?
"La mia prima fidanzata si chiamava Anna".
"Ma non le può succedere niente!  Vuole che le faccia un altro biglietto"?
"Sì grazie... questo è già tutto sgualcito... ma poi posso essere sicuro che non mi succede niente"?
"Certo!  Stia tranquillo. Ecco qua : attesto che il signor Aldo non ha motivo di preoccuparsi per la propria salute e supererà senza problemi il giorno 26 luglio e tutti i mesi del 2013 e del 2014 e oltre".
"Grazie dottore. Ci vediamo la prossima settimana?  Ho solo lei per parlare. La prego, venga"!
"Sì, vengo. Arrivederci. Stia tranquillo".
Lo guarda allontanarsi, chiedendosi chi tra i due sia più pazzo...

mercoledì 10 luglio 2013

Una vita che riprende il suo corso.

Poter contribuire a dare una nuova chance a chi voleva togliersi la vita, equivale a partorire. E' sublime e straordinario, un privilegio senza eguali.

Veder rifiorire il sorriso e rinascere la speranza sono esperienze che tolgono il fiato.
Favorire il riprendere del corso di una vita è come togliere l'ostacolo che aveva impedito al fiume di scorrere.

Ci ha provato più volte, con freddezza e lucidità, con un cuore impietrito, con un'angoscia tombale.
Senza più la speranza.
Perdere la speranza è già morire.

Qualcosa non ha funzionato e il ritrovarsi ancora qui, suo malgrado, non ha fatto altro che confermare la disistima di sé, per non aver avuto la capacità di fuggire da questo mondo.

Un segreto colloquio avviene, sera dopo sera, quando la notte favorisce la confidenza e il liberarsi delle emozioni. Parole scritte, non pronunciate, senza vedersi in viso, senza poter scorgere il pudore e la vergogna.

A piccoli passi il sorriso e la speranza riprendono a camminare nel suo cuore.

Il fiume sta ritrovando la strada.

venerdì 3 maggio 2013

C'era odore di gelsomini...


Forse è la notte ad essere cambiata, o sono io? Quand'ero ragazza certe notti profumavano di gelsomini. Dov'è ora quel profumo? Perchè ora sento solo odore di smog? Vorrei che tornassero quelle notti, vorrei che tornasse con quei profumi anche quella giovinezza...
Era bella la giovinezza, anche se all'epoca sembrava fosse solo dolorosa.
Era bella e sana.
Ma la giovinezza di Gianluca non è mai stata bella. Lui non l'ha avuta e non ha avuto nemmeno l'infanzia.
Adesso ha quarant'anni e la sua giovinezza non è mai arrivata.
Grida ed è sconvolto dalle ossessioni da quando aveva undici anni.
Eppure, lui riesce a sentirlo, l'odore dei gelsomini.

****
-Gianluca-

C'era odore di gelsomini lungo la strada;
me ne inebriavo, rientrando a casa.
C'era leggerezza lungo la mia strada;
io ne sorridevo, rientrando  a casa.

Gianluca giaceva nel suo letto di bimbo;
piangeva e cercava la madre, ma era già a casa.
Gianluca urlava nel suo letto di dolore
si mordeva la bocca, che sanguinava.

Non son più capace di sentire quei profumi
i miei anni sono sfioriti con me.
Gianluca ancora giace nel suo letto di spine
ma lui sì, sente odore di rose
e gelsomini.


Annalisa Soddu


giovedì 28 marzo 2013

Sigmund, come sei lontano…


Sigmund, come sei lontano…


La dottoressa A.S.
Sedicente futura psichiatra
Oggi vide un folle nel vulcano della propria crisi.
Ebbe terrore della sua violenza.
Eppure, per un ragazzo occhi e barba,
il nome del folle era “Stella”;
posava la fronte sulla sua fronte,
sebbene egli fosse sporco di sangue
e la sua follia facesse ribrezzo.
Io non raccolsi la sua ciabatta,
quasi potesse inquinarmi.
A prudente distanza dal lettino,
dove guizzavano ribelli i muscoli incatenati,
restai a chiedermi se fosse il genere di pazienti
con i quali avrei voluto dividere la vita.

Quello sguardo perso in pensieri sgangherati
E la bocca sdentata.

A.S. 1991 – I rev. 1994 – II rev. 2011
(Pubblicato ne "Il fuoco di Lorenzo", ed. ilmiolibro - www.ilmiolibro.it)

Andrea



Andrea


Andrea, di vent’anni.
Affetto da morbo di Cooley.
Non contenta, la natura gli ha regalato anche il diabete
e, perla fra le perle, una malattia psichiatrica.

Hai le fossette sulle guance
Due begli occhi neri, dolci dolci.

Come si fa a non amarti?
Vorrei sapere quanto è bella la tua anima
Vorrei stare ore ed ore a contemplarla.
Vorrei che ti si potesse amare senza il timore,
senza la pietà per la tua malattia.
Come un bimbo ti terrei fra le braccia.


A.S. 1991

(Pubblicato ne "Il fuoco di Lorenzo", ed. ilmiolibro, www.ilmiolibro.it)