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lunedì 28 ottobre 2013

L'ostaggio

La violenza esplose come quei fiori del deserto che sbocciano all'improvviso. Fu un boato, rimbombante nel vuoto tra le montagne, un colpo di fucile seguito da un'eco riverberante, respinta tra le pareti dei monti come fa una pallamatta lanciata da un ragazzo. Fu come un torrente che dopo ere di siccità avesse ritrovato all'improvviso la strada antica e l'avesse stuprata.
La folle furia si abbattè sulle membra inconsapevoli della donna, cogliendola nel sonno, totalmente inerme. La ragazza, pur ridotta quasi allo scheletro per i trent'anni di anoressia,  vomitava pugni e calci come un vulcano i sassi ed il fuoco. Cosa c'era in quella furia: l'odio eterno per essere stata messa al mondo, per l'incapacità a spegnere il suo male, per le pietanze cucinate con l'inesatto numero di calorie, per non essere sufficientemente rapida - a sessanta e passa anni - a eseguire gli ordini e soddisfarne i capricci. L'odio animava quelle ossute braccia conferendo ad esse una forza che di umano non poteva aver nulla, che certamente proveniva dai demoni dell'inferno con i quali aveva stretto il patto a otto anni, quando cominciò ad alimentarsi solo con pizzette e cocacole ed a tenere in ostaggio la allora giovane madre che, incapace di comprendere che era iniziato un male oscuro, iniziò ad assecondarla nelle sue stravaganze alimentari e non solo.
Da allora la donna e la ragazza furono carnefice e vittima l'una dell' altra, alternandosi nel ruolo e cacciando via gli altri membri della famiglia: padre e sorella che dovettero andare a vivere altrove. Nessuno capì la portata del dramma: assecondarono la stranezza, forse per paura, forse per vergogna ad ammettere l'insanità della ragazza, forse per follia condivisa, o chissà perché.
Risvegliata dal dolore, l'anziana donna tentò di ripararsi con le braccia: sulla pelle vistose chiazze rosso bluastre iniziavano a confluire per formare mappe sanguinolente. Rotolò dal letto lasciandosi cadere sul pavimento, dove la raggiunsero nuovi calci, sferrati in maniera diversa dai primi: quelli con la gamba alzata e di tacco, questi dati con la punta delle scarpe e più alla cieca. In qualche modo ella si levò da terra e corse a ripararsi nel bagno, ma, mentre tentava di chiudere la porta, lame di forbice si infissero nel braccio recidendo una vena.
Fu una festa di sangue: il bel liquido amaranto si riversò sinuoso sull'arto incredulo,  sulla camicia da notte che, avida, lo bevve, quasi terra riarsa con le piogge dell'autunno; sul pavimento bianco del bagno che si pavoneggiò e sorrise per quell'inatteso abito da sera.
La madre volse su quel sangue lo sguardo sorpreso: e sorpresa si disegnò anche sul volto della ragazza.
Si guardarono negli occhi: identico era lo stupore. Quindi la donna anziana, indebolita dalla perdita e dal massacro, si accasciò.
La ragazza chiamò il padre.
Il padre, senza dir nulla all'altra figlia, andò nella prima casa e trovò le macerie della guerra.
Non ebbe il tempo di pensare,  impaurirsi o capire. Raccolse la donna per portarla all'ospedale.
Nel suo lucido delirio la figlia obbligò entrambi a giurare che non avrebbero sporto denuncia e a dire che era stato un incidente domestico.
E poiché nessuno vuole rogne, i sanitari finsero di crederci; nonostante i lividi gonfiassero il volto della donna, nonostante le scarpe avessero lasciato un tristo marchio sull'addome, i glutei, le braccia, le gambe.
L'ostaggio tornò a casa.




Inviato da Samsung Mobile

giovedì 24 ottobre 2013

Ancora Alda Merini

"La semplicità è mettersi nudi davanti agli altri... E noi abbiamo tanta difficoltà ad essere veri con gli altri. Abbiamo timore di essere fraintesi, di apparire fragili, di finire alla mercé di chi ci sta di fronte. Non ci esponiamo mai. Perché ci manca la forza di essere uomini, quella che ci fa accettare i nostri limiti, che ce li fa comprendere, dandogli senso e trasformandoli in energia, in forza appunto. Io amo la semplicità che si accompagna con l’umiltà. Mi piacciono i barboni. Mi piace la gente che sa ascoltare il vento sulla propria pelle, sentire gli odori delle cose, catturarne l’anima. Quelli che hanno la carne a contatto con la carne del mondo. Perché lì c’è verità, lì c’è dolcezza, lì c’è sensibilità, lì c’è ancora amore".

Alda Merini


giovedì 17 ottobre 2013

Uva!

"Dottoressa sto morendoooo!!!!!! Me ne sto andandooooooo!!!!!!!!"
"Come sarebbe a dire???"
Sì me ne sto andando!!!!! Sto morendo!  Sto morendo! "
"Ma non direi! Perché dice questo? "
"SÌIIII! STO MORENDO! HO MANGIATO U-VA! "
"Cioè l'uva le ha fatto male? Ha mal di pancia? O le è andata di traverso? "
"Noooo... ho mangiato U-VA! U-VA!  Uno che VA!"

... :-)

lunedì 14 ottobre 2013

Cinzia fa una richiesta.

Cinzia ha 24 anni , è alta e molto formosa, veste in modo estremamente appariscente. Oggi indossa due enormi orecchini dorati a forma di foglia, una vistosissima collana dorata fatta di lastre di metallo ravvicinate, un giubbotto di pelle beige, un paio di fuseaux che fanno risaltare le cosce massicce e il sedere grande ma ben fatto.
Il trucco è molto deciso: rossetto color fuoco, matita nera a contornare gli occhi, lunghe ciglia finte.
Gli splendidi occhi castani sbarrati, il viso imbronciato, mi dice che è stufa di essere Maria Maddalena e di parlare con Dio e vedere angeli, diavoli e fantasmi.
Il colloquio che abbiamo verte su questo argomento finchè non le chiedo di far entrare i suoi accompagnatori, cioè i genitori ed il ragazzo, del quale finora mi ha parlato in maniera ambivalente, dicendomi che lo vuole e non lo vuole.
E' un ragazzo che sembra amarla molto ed è disposto a stare con lei a dispetto della sua malattia e di tutte le difficoltà che questa comporta, prima fra tutte la necessità della costante assunzione di una terapia composta di numerosi farmaci.
Alla fine del colloquio, Cinzia chiede nuovamente di restare sola con me per qualche altro minuto. Chiude la porta e si siede nuovamente:
"Dottoressa, io voglio sposarmi;  voglio un figlio. Lo desidero tantissimo. E' il coronamento di una vita. Un matrimonio senza figli che matrimonio è? Posso avere un figlio, io?"

Io? Io? Io chi? Tu o io, Cinzia? Che mi chiedi? I pensieri danzano nel mio cervello nel giro di frazioni di secondo. Tu lo chiedi a me Cinzia, se puoi avere un figlio? Tu sei abboffata di cinquanta medicine diverse che possono creare malformazioni fetali e mi chiedi se puoi avere un figlio? Ma tu con la malattia che hai? E' un desiderio legittimo? Ma come ti permetti di pensare una cosa del genere? Come puoi mettermi in tale difficoltà, che ti debba dire che non lo puoi avere perchè prendi tutti quei farmaci, poi come faresti ad averne cura tu con una malattia così grave? Come ti permetti di provocarmi la voglia di piangere per la tua sorte tristissima, io che so bene cosa vuol dire desiderare di avere un figlio, perchè l'ho desiderato per anni prima che arrivasse, dal momento che non avevo con chi farlo, ma avevo comunque una speranza di arrivarci? E tu invece, che avresti con chi farlo ma non devi non puoi assolutamente perchè genereresti un mostro e poi tu sei malata e forse non guarirai.... che mi chiedi, Cinzia, che mi chiedi, perchè mi fai questo male?
Sì, è un desiderio più che legittimo: è un desiderio sano e forte in una mente malata che in questo momento reclama la vita e il diritto alla prosecuzione di sè. E' un desiderio normale che ha diritto di essere: ed io che diritto ho di ucciderlo, questo desiderio? Fai schifo, dottoressa, fai schifo. Cerca di trovare le parole giuste, trattieni il respiro e non far vedere le lacrime, professionista da strapazzo.

"Senti, Cinzia: io non lo farei, perchè è una situazione molto rischiosa per via dei farmaci che prendi e senza i quali potresti avere una ricaduta del tuo disturbo; ma se tu e il tuo ragazzo fate un progetto di vita insieme e starai meglio e il desiderio è molto forte, dovremo provare a ridurre la terapia al minimo indispensabile e fare tutti i controlli che la situazione richiederà. Perciò adesso credo sia ancora presto per pensarci, hai ancora altri trent'anni circa di tempo, ora cerca di guarire e vedi se con questo ragazzo le cose andranno avanti. A me sembra un bravo ragazzo e che ti voglia bene. E chi lo sa che tu non possa guarire?"

Sorride? Cinzia sorride? Ho trovato la risposta giusta? Mi abbraccia! Dice grazie! E' felice! Non posso crederci. Quasi mi sento male, sudo. Sono abile a mascherare, anni di esercizio... Chiama i suoi, salutano, lei mi abbraccia, mi chiama "il mio angelo". Si congedano tutti sorridenti con grandi strette di mano.
Sono di nuovo sola. Mi siedo e finalmente posso piangere. 
Figlio mio, quanto ti ho desiderato.